Lercio: Come sopravvivere alle feste

Lercio: Come sopravvivere alle feste

𝐌𝐚𝐧𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐡 𝐝𝐢 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐟𝐢𝐧𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐟𝐞𝐬𝐭𝐨𝐬𝐨

Ora che con il mese di novembre il “Vernacoliere” storico giornale satirico che ha fatto del dialetto livornese, della parolaccia e dell’irriverenza la sua cifra satirica, chiuderà i battenti, come ha annunciato il suo direttore e storico motore infaticabile Mario Cardinali, non ci resta che “Lercio”.

Per chi non lo sapesse, “Lercio” è una testata giornalistica satirica, che ha fatto della lingua anodina digitale e del trash, la sua cifra stilistica. Trash inteso come lo intendeva Tommaso Labranca, che enunciò i suoi cinque pilastri: la libertà di espressione, la contaminazione, l’incongruità, il massimalismo e l’emulazione fallita.

Con le consuete incursioni sul web a colpi di titoloni improbabili che solo un analfabeta di ritorno, come molti frequentatori assidui del web, potrebbe scambiare per veri ha costruito una sua presenza grottesca epurata dai provincialismi linguistici del suo predecessore in vernacolo, campione anch’esso di titoli esagerati tesi ad amplificare in senso comico la verità in essi contenuta.

Oddio non è che i predecessori manchino, cito solo a titolo d’esempio “Il Male” con le sue prime pagine di quotidiani con titoloni esagerati e falsi (chi non ricorda il Tognazzi capo delle BR?), così come Cuore ma anche, andando indietro negli anni e cambiando schieramento politico, “Candido” di Giovannino Guareschi e “La Voce della Fogna” di Marco Tarchi.

Ora il comitato di redazione fa uscire un volume collettaneo (ogni capitolo è affidato a due componenti del suddetto comitato) dal titolo “Come sopravvivere alle feste” edito da SEM con l’avvertenza stampata in copertina: “Questo piccolo vademecum è il manuale per tutte le situazioni a cui è difficile sottrarsi ma da cui è quasi impossibile uscire vivi”.Operazione che permette al lettore di farsi, in prima lettura, quattro facili e grasse risate, anche se il passaggio dai titoli sparati sul web alla prosa di un testo lungo, seppur sintetica e frazionata dai capitoletti, in qualche modo ne annacqua la potenzialità comica.

Se però si passa a rileggere il libro, bighellonando senza continuità all’interno dei vari capitoli, il dubbio cresce e assale l’improvvido lettore. Costruire un testo con consigli sbilenchi per salvarsi da situazioni scomode o potenzialmente pericolose non è operazione originale. Nel passato era apparso per Bompiani “Come sopravvivere alle cene mondane” di Sven Ortoli e Michel Eltchaninoff, che restringeva il campo ma che in buona sostanza era impostato come il libro di “Lercio”, il cui testo è un po' sproporzionato. Le situazioni grottesche descritte in tutta la loro virulenta comicità sono seguite da consigli scarsi e un po' banali nella loro eccessività, tanto da ammosciare le risate nate dalla iperbolica descrizione della festa oggetto del capitoletto.

La comicità nasce da un triste rendersi conto che anche le feste, come in genere tutti i casi della vita, hanno un risvolto drammatico e grottesco che ci fa ridere o sorridere perché il nostro pensiero va agli sfigati che quelle situazioni vivono e li deridiamo perché crediamo ingenuamente di non far parte della partita o di aver lasciato alle nostre spalle il conformismo stantio che certe situazioni ingombra.

È lo stesso meccanismo che ha reso famoso il Fantozzi di quel genio di Paolo Villaggio (i film seguono solo i libri che sono assai più corrosivi). Guardando il povero ragioniere alle prese con i suoi assurdi casi di vita ne ridiamo, scaricando su di lui le stesse frustrazioni nostre. Ne ridiamo perché sappiamo che sono le stesse che ci sono capitate o che ci capitano costantemente ma non ce ne rendiamo conto o meglio, ce ne rendiamo conto e mentiamo a noi stessi, costruendoci una situazione che nel mondo animale, descritto dagli etologi, viene definito “rapporto di ridirezione”.

Nella scala gerarchica del branco l’animale dominante scarica le sue frustrazioni su quello di rango inferiore. Questi su un animale di rango ancor più inferiore. Per arrivare all’ultimo che, non sapendo con chi riprendersela, prende a calci gli oggetti che trova sulla sua strada.Le risate che nascono da Lercio hanno la stessa natura, ci costruiamo dei feticci, Fantozzi o lo sfigato che subisce la festa di matrimonio, e lo deridiamo credendo di essere altro ma in fondo siamo quell’animale ultimo della gerarchia che se la prende con un oggetto (il feticcio di cui sopra).

Risate amare dunque ma ciononostante risate che se non altro hanno il pregio, nella loro grossolana finzione, di distrarci un momento dalla nostra triste realtà.

Un’ultima annotazione: nel comitato di redazione compare solo una femmina in mezzo a tutti maschi. La classica eccezione che conferma la regola?Questo significa che la satira è cosa da maschi? Che i maschi sono al fondo della scala sociale e necessitano di palliativi? Che la volgarità eccessiva non fa parte del bagaglio muliebre? Che le donne hanno altro, e di più significativo, da fare che darsi all’onanismo comico del grottesco?A “Lercio” l’ardua risposta!

𝐌𝐚𝐫𝐢𝐨 𝐆𝐫𝐨𝐬𝐬𝐢