Mezzo elettorato
𝐋𝐚 𝐓𝐨𝐬𝐜𝐚𝐧𝐚 𝐬𝐨𝐭𝐭𝐨 𝐢𝐥 𝟓𝟎% 𝐜𝐨𝐧𝐟𝐞𝐫𝐦𝐚 𝐥’𝐚𝐬𝐭𝐞𝐧𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐬𝐭𝐫𝐮𝐭𝐭𝐮𝐫𝐚𝐥𝐞 𝐢𝐧 𝐈𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚.
La fotografia toscana è nitida: ha votato meno di un elettore su due. I dati definitivi fissano l’affluenza al 47,7%, in calo marcato sul 2020. Non è un’anomalia locale: è la traduzione regionale di una tendenza nazionale che dura da anni. Alle Politiche 2022 l’affluenza si è fermata al 63,91%, minimo della storia repubblicana recente; alle Europee 2024 si è scesi al 49,69%. Messa in fila, la serie dice che l’Italia vota meno e lo fa in modo strutturale, non episodico.
Che cosa spinge verso il nuovo “pianerottolo” di partecipazione? Tre driver, ben visibili nelle ultime tornate. Primo: intermediazione debole. La trasformazione (e in molti casi contrazione) dei partiti territoriali riduce la mobilitazione di base; la contesa scivola verso campagne ad alta intensità simbolica e bassa contendibilità programmatica. Secondo: regole che irrigidiscono la competizione. Con l’attuale legge elettorale (Rosatellum) 3/8 dei seggi sono assegnati in collegi uninominali maggioritari, mentre la quota restante è proporzionale: nei collegi percepiti come “chiusi” il votante intermittente tende a non attivarsi. Terzo: incentivi politici all’astensione tattica nelle consultazioni con quorum, dove la non-partecipazione diventa veto legale (referendum abrogativo ex art. 75). Questi fattori non “spiegano tutto”, ma compongono un contesto in cui l’utilità attesa del voto, per molti, si abbassa.
L’effetto netto è una rappresentanza più stretta. Il meccanismo elettorale continua a funzionare, ma con meno platea: maggioranze parlamentari legittime sul piano giuridico, ma magre sul piano sociale. In queste condizioni la politica tende a preferire atti simbolici a riforme profonde (che richiedono capitale politico largo), e a inseguire la porzione di elettorato che “vota comunque”, lasciando sul tavolo chi vota “se vede rendimento”. Questo spiega anche il paradosso comunicativo degli ultimi anni: più conflitto simbolico, meno conflitto su costi, tempi, priorità.
Dentro questo quadro, la Toscana non “fa storia a sé”: la esemplifica. La distanza tra risultato numerico e larghezza democratica si allarga. Da qui discende una conseguenza operativa: la questione non è solo “chi vince”, ma quanto vale quella vittoria in termini di consenso sociale effettivo. Le serie ufficiali di affluenza lo mostrano senza bisogno di aggettivi.
Sul tavolo politico si aprono due strade. La prima è accettare la normalizzazione del sotto-50% in molte consultazioni locali, continuando a parlare a metà Paese con un linguaggio di identità e bandiere. È una strategia di breve: consente di governare, ma logora la capacità di produrre politiche misurabili e condivise. La seconda è riattivare la catena causale tra voto e risultati, alzando l’utilità percepita dell’andare alle urne: rendere più contendibili i collegi “sicuri” e più trasparenti i pacchetti programmatici (costi, tempi, indicatori), e ridurre gli attriti logistici (voto agevolato/anticipato, soluzioni per i fuorisede). Non sono tocchi cosmetici: sono leve che incidono sul calcolo razionale dell’elettore intermittente.
Qui si innesta l’ultimo passaggio, che riguarda la filosofia della non-partecipazione. Storicamente il cittadino alternava oîkos (casa) e polis (affari comuni); a Roma, otium e negotium. La modernità ha rovesciato i pesi: il “pubblico” si esercita per delega e mediazione, e l’idiōtēs contemporaneo è soprattutto sovraccarico di lavoro. Questo spiega perché il ritiro può apparire razionale anche senza ostilità verso la politica.
Non tutta l’astensione è uguale. C’è il ritiro privato (scelta esistenziale: tempo, lavoro, cura), l’apatia (esaurimento), il boicottaggio (rifiuto strategico della procedura) e la sospensione critica (scheda bianca o nulla motivata). Le prime due forme sono silenzio politico; le seconde due sono messaggi, ma con esiti diversi. La scheda bianca è partecipazione in negativo: dice “nessuno mi rappresenta”, senza svuotare la procedura, e può segnalare domanda di nuova offerta. L’astensione strategica, specie dove c’è un quorum, trasforma il non-voto in veto: è legale, ma nel tempo corrode la credibilità del circuito rappresentativo. Per questo molte democrazie considerano il voto insieme diritto e dovere civico: non per moralismo, ma come cintura di sicurezza del diritto stesso.
In sintesi: la Toscana 2025 è un promemoria. L’Italia sta stabilizzando un livello di partecipazione più basso; non è una crisi passeggera. Se la politica continua a privilegiare la somma simbolica su quella materiale, la curva non invertirà. Se invece riallaccia il filo tra promessa e indicatore (pochi impegni, misurabili, con scadenze pubbliche) e abbassa i costi di accesso al voto, una parte degli astenuti tornerà. Non ai picchi del Novecento, ma abbastanza da restituire larghezza alle decisioni collettive.
— 𝐒𝐚𝐥𝐝𝐨 𝐏𝐫𝐢𝐦𝐚𝐫𝐢𝐨