Patrimoniale. Se serve, quando serve...
… 𝐞, 𝐬𝐨𝐩𝐫𝐚𝐭𝐭𝐮𝐭𝐭𝐨, 𝐬𝐞 𝐬𝐚𝐢 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐬𝐞𝐫𝐯𝐢𝐫𝐥𝐚. 𝐐𝐮𝐢𝐧𝐝𝐢: 𝐧𝐨𝐧 𝐨𝐫𝐚
Nel lessico fiscale europeo “patrimoniale” nasce come risposta a shock collettivi: guerre, dopoguerra, ricostruzioni. I primi esempi moderni sono imposte straordinarie sul patrimonio per ripianare debiti pubblici e finanziare la ripartenza; strumenti pensati una tantum, legati a un’idea di “contributo eccezionale” richiesto ai detentori di ricchezza accumulata. Nel secondo Novecento, a fianco di questi prelievi occasionali, alcuni Paesi sperimentano anche imposte annuali sul patrimonio netto delle persone fisiche: l’obiettivo dichiarato è combinare gettito stabile e “equità verticale” (chi ha di più contribuisce di più), ma l’esperienza concreta alterna fasi di espansione e ritirata. Dalla fine degli anni Novanta la globalizzazione dei capitali, l’innovazione finanziaria e la concorrenza fiscale spingono molti ordinamenti a ridurre o abolire i tributi sul patrimonio generale, mantenendo invece leve su singoli asset (immobili, strumenti finanziari, successioni). Dopo la crisi del 2008 e la pandemia, il tema riemerge come risposta “solidaristica” alle emergenze, soprattutto in versioni circoscritte a grandi ricchezze o come prelievi temporanei.
Sul piano ideologico, la patrimoniale è un campo di attrito tra tre famiglie di argomenti. La prima è l’argomento egualitario-redistributivo: la ricchezza si accumula nel tempo più rapidamente del reddito, beneficia di esternalità pubbliche (infrastrutture, stabilità, stato di diritto) e va quindi tassata non solo quando genera reddito ma anche in quanto stock, per finanziare servizi universali e ridurre diseguaglianze intergenerazionali. La seconda è la critica efficienza-incentivi: tassare lo stock, specie se illiquido e difficile da valutare, disincentiva risparmio e investimento, aumenta l’elusione e può indurre spostamenti di residenza dei contribuenti più mobili; meglio concentrarsi su base flusso (redditi/capital gain), su successioni mirate e su un contrasto all’evasione ad alta redditività. La terza famiglia è l’argomento ordinamentale-civico: la proprietà ha “funzione sociale” e la contribuzione deve avvenire secondo capacità contributiva (artt. 42 e 53 della Costituzione italiana); da qui la legittimità di prelievi patrimoniali, soprattutto se straordinari e commisurati al patrimonio netto, ma anche l’esigenza di proporzionalità, certezza del diritto e coerenza con il resto del sistema tributario per evitare doppie imposizioni e distorsioni.
Nel dibattito contemporaneo, queste traiettorie si incrociano con la tecnica. Le patrimoniali hanno funzionato quando base imponibile, soglie ed esenzioni erano chiare e poche, registri e valutazioni affidabili, aliquote contenute e stabili; hanno fallito quando l’imponibile era opaco, le eccezioni proliferavano e l’amministrazione non reggeva i costi di verifica. Per questo molti Paesi europei hanno ripiegato su strumenti settoriali: imposte immobiliari periodiche (con catasti aggiornati), bolli e imposte di bollo sui rapporti finanziari, imposte di successione calibrate sulle grandi eredità. Nelle fasi d’emergenza, invece, riemerge il paradigma straordinario: un prelievo una tantum sul patrimonio con finalità puntuali (riduzione debito, copertura spesa eccezionale), spesso accompagnato da ampie franchigie e da meccanismi di rateazione per i soggetti illiquidi.
In sintesi, la patrimoniale non è un “totem” ma una famiglia di soluzioni che il ciclo storico riporta periodicamente in superficie. La scelta non è solo ideologica: dipende dalla qualità delle basi dati, dalla capacità amministrativa e dal coordinamento con imposte già esistenti. Dove lo Stato sa misurare bene e comunicare regole semplici, la discussione è economica; dove misura male e moltiplica eccezioni, la discussione diventa simbolica. È in questo scarto — tra intenzioni politiche e fattibilità operativa — che si gioca, ogni volta, il senso della patrimoniale.
Alla luce di tutto ciò, e anche sulla scorta del dibattito politico riaperto in Italia in questi giorni, diciamolo chiaramente: la patrimoniale non è né urgente né risolutiva per i problemi strutturali di finanza pubblica. Non siamo contrari in assoluto: avrebbe senso solo come intervento mirato e temporaneo, con soglie molto alte, infrastruttura amministrativa pronta e destinazione vincolata delle risorse; altrimenti resta sconsigliabile per ragioni di equità, efficienza e certezza del gettito.
— 𝐒𝐚𝐥𝐝𝐨 𝐏𝐫𝐢𝐦𝐚𝐫𝐢𝐨