Nietzsche contro l'algoritmo

Nietzsche contro l'algoritmo

𝐎𝐯𝐯𝐞𝐫𝐨, 𝐜𝐨𝐦𝐞 "𝗜𝗹 𝗙𝗼𝗻𝗱𝗼" 𝗿𝗲𝘀𝗶𝘀𝘁𝗲 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗴𝗿𝗮𝗺𝗺𝗮𝘁𝗶𝗰𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝗮𝗹𝗴𝗼𝗿𝗶𝘁𝗺𝗼: 𝘁𝗲𝘀𝘁𝗶 𝗹𝘂𝗻𝗴𝗵𝗶, 𝗹𝗲𝘁𝘁𝘂𝗿𝗮 𝗹𝗲𝗻𝘁𝗮, 𝗻𝐞𝐬𝐬𝐮𝐧 𝗶𝗻𝘀𝗲𝗴𝘂𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝗹𝗶𝗸𝗲 𝗳𝗮𝗰𝗶𝗹𝗲

L’algoritmo non è una formula matematica che decide il colore dei gattini nel feed; è un dispositivo morale. Ordina chi deve essere visto e chi deve sparire, quali frasi si allungano in discussione e quali vengono inghiottite dal nulla. Nietzsche non poteva conoscere il feed infinito, ma ha descritto la struttura che lo regge: il nichilismo come volontà di nulla, il risentimento come energia principale delle masse, la volontà di potenza ridotta a contabilità di reazioni. L’algoritmo è, in questo senso, un nuovo sacerdote ascetico: non predica dal pulpito, regola il flusso. Non dice «devi», imposta il «ti conviene».

Genealogia del dispositivo: prima viene una certa forma di Schuld – debito/colpa – che attraversa il cristianesimo, la psicologia moderna, la società disciplinare. Agli individui è stato insegnato a giudicarsi continuamente: confessione, esame di coscienza, analisi infinita dei propri desideri. L’algoritmo eredita questa struttura e la automatizza: ti misura senza tregua, registra cosa guardi, davanti a cosa ti fermi un secondo in più, a cosa reagisci nel modo più primitivo – indignazione, invidia, paura. Dove la Chiesa vedeva peccato, l’algoritmo vede engagement. È la stessa forma, senza Dio; una teologia rovesciata in statistica.

Nel linguaggio di Nietzsche, il nichilismo non è “credere in niente”, è voler che non ci sia nulla che valga davvero. Il feed è l’infrastruttura tecnica di questa volontà di nulla: non chiede decisioni, chiede scorrimento. Non domanda «che cosa vuoi affermare?», domanda «vuoi vedere un altro video, un altro commento, un altro corpo, un altro disastro?». La passività viene mascherata da scelta infinita. Zarathustra vedeva «il deserto che cresce»; noi lo chiamiamo semplicemente “per te”.

Secondo passaggio genealogico: il risentimento. Nietzsche lo definisce come la reazione tipica di chi non può o non osa agire e allora giudica, svaluta, rovescia i valori del nemico. Il cristianesimo dei deboli trasforma la forza in vizio e la debolezza in virtù. L’algoritmo dei social riconosce il risentimento come carburante perfetto: genera contenuti prevedibili, polarizzazioni facili, reazioni violente ma a basso costo. L’utente non deve rischiare niente della propria vita reale: basta un commento, un quote, una storia con un tono moralizzante.

Nel feed il risentimento diventa micro-gesto rituale: la gioia non è costruire qualcosa, ma contribuire alla rovina simbolica di qualcuno. Non importa se si chiama politico, influencer, conoscente, sconosciuto. L’importante è stare dalla parte di chi giudica. La morale degli schiavi diventa così una morale del pubblico: chiunque può brandire il codice del bene e del male, purché lo faccia secondo i tempi del trend. Le parole cambiano – inclusione, civiltà, responsabilità, sicurezza – ma la struttura rimane quella che Nietzsche aveva riconosciuto: la potenza non si misura più nella capacità di creare forme, ma nel potere di bloccare, cancellare, boicottare l’esistenza simbolica dell’altro.

Terzo passaggio: la volontà di potenza. Per Nietzsche non è volontà di dominio su altri, è forza che vuole espandere la propria forma, affermare un certo stile di esistenza. L’algoritmo non ha stile, ha solo funzione: massimizzare il tempo di permanenza, l’intensità delle reazioni, la prevedibilità dei comportamenti. Ciò che chiamiamo “visibilità” è solo un indice di quanto un certo contenuto si adatti a quei parametri. In questo quadro, la volontà di potenza viene ridotta a volontà di misurazione: non chiedi più se ciò che hai scritto è degno di durare, chiedi se ha funzionato in termini di like, click, condivisioni. Il criterio di forza diventa un criterio di statistiche.

Qui Nietzsche diventa veramente “contro” l’algoritmo: perché la sua etica – che non è una morale ma una selezione di stili – misura la potenza in altro modo. Si è più forti non quando si ottiene consenso, ma quando si regge il peso del dissenso, del fraintendimento, dell’invisibilità temporanea. La frase nietzscheana non cerca di essere capita subito, tenta di creare un lettore diverso da quello che trova. È un’operazione pericolosa, lenta, che chiede tempo proprio, non tempo di piattaforma. Dal punto di vista del feed, questa è una patologia: contenuto “difficile”, “poco chiaro”, “poco ingaggiante”. Dal punto di vista di Nietzsche, è l’unica via per evitare di diventare gregge.

Si potrebbe allora immaginare una resistenza: usare l’algoritmo contro se stesso, sabotare il feed con testi lenti, immagini che non consolano, concetti che non si lasciano ridurre a indignazione binaria. È una tentazione romantica, subito catturabile.

Chi insiste a tenere in vita testi lunghi, che chiedono tempo e attenzione invece di rincorrere il polso dell’algoritmo, non è “migliore”: si limita a scommettere che esista ancora qualcuno disposto a farsi spostare, non solo intrattenere. È un esperimento minimo contro il feed infinito, e non ha alcuna garanzia di riuscita.

Il dispositivo non ha problemi a ospitare anche la critica del dispositivo, purché generi reazioni. Il “post nietzscheano” rischia di diventare solo un altro contenuto di nicchia dentro lo stesso meccanismo. Lo scandalo si misura in views, il radicalismo in condivisioni. La figura di Übermensch scivola velocemente a brand personale, a retorica motivazionale di seconda mano.

E allora? La genealogia nietzscheana, se presa sul serio, costringe a una posizione più scomoda. Non basta cambiare contenuti; bisogna intervenire sul modo in cui si desidera. L’algoritmo funziona perché incontra un certo tipo di soggetto: stanco, annoiato, risentito, desideroso di giudicare e di essere giudicato, ma senza rischiare davvero. Un soggetto che ama il proprio nichilismo: si lamenta del mondo, ma non accetta che qualcosa di nuovo lo obblighi a cambiare forma. Qui Nietzsche è implacabile: ciò che chiamiamo “tempo perso” nel feed è spesso tempo usato per non incontrare la prova di una vera trasformazione.

L’oltreuomo non è un supereroe che domina le piattaforme, è una figura che rompe la dipendenza dallo sguardo della massa. Non gli interessa la visibilità in sé; gli interessa che ciò che crea abbia un peso, anche minimo, nella propria vita e in quella di pochi altri. Questo significa anche accettare una dose di oscurità, di silenzio, di non-risposta. In termini algoritmici è un suicidio. In termini nietzscheani è l’unica forma ancora pensabile di dignità creativa. Ma non c’è garanzia: la severità di Nietzsche sta proprio nel rifiuto di trasformare questa scelta in nuova morale. Nessun premio, nessun paradiso digitale, nessuna “bolla sana” assicurata. Solo la scommessa di uno stile.

Resta l’aporia. Siamo interni alle infrastrutture che critichiamo; il nostro stesso parlare di Nietzsche passa attraverso server, piattaforme, filtri di visibilità. Ogni gesto di resistenza può essere conteggiato, profilato, venduto. Nietzsche non offre un’uscita d’emergenza, offre una domanda spiacevole: quanto di ciò che chiamiamo “io” è già stato formattato dal risentimento che l’algoritmo sfrutta? Prima di opporre il filosofo al codice, bisognerebbe forse riconoscere quanta voglia di feed infinito abita già nella nostra voglia di verità. Da lì in poi, nessun consiglio, nessun decalogo: solo la differenza, fragile e continuamente revocabile, tra il vivere come dato di prodotto e il tentare comunque uno stile che non sappia farsi calcolare del tutto.

— 𝗘𝗿𝗮𝗰𝗹𝗶𝘁𝗼 𝗱𝗶 𝗥𝗶𝗮𝗹𝘁𝗼